Alcune note a margine dopo la manifestazione nazionale antirazzista di Roma
Siamo nati/e liberi/e!
Questo era il grido che si è levato il 26 settembre a Rimini.
Con questa rabbia per riconquistare la nostra libertà siamo andati a Roma.
Siamo andati a Roma da Rimini con un percorso che è prima di tutto una sfida per noi, per le differenza che esprime, per le difficoltà che incontriamo, per le alterità che esprimiamo.
Complessità. Questo è oggi parlare e occuparsi di immigrazione dentro la crisi, un fenomeno che interroga la società e vi si riflette attraversando e trasformando i territori nei quali viviamo.
Riminesi globali contro il razzismo è la rottura dei campi di forza che sono intorno a noi, nel nostro territorio. Che sono dentro le esperienze politiche, le biografie di chi compone questa nuova soggettività territoriale.
Questa la sfida più grande.
Per la prima volta una ventina di migranti che vivono a Rimini hanno partecipato ad una manifestazione nazionale, partecipazione costruita con un grande sforzo collettivo della rete per garantire a tutti di poter partecipare. Un pullman quasi gratis, garantito dalla spinta dell'autorganizzazione.
Siamo nati/e liberi/e. Queste le parole che si leggevano negli sguardi delle persone che con me erano sul quel pullman. La pioggia, il freddo, le fatiche della settimana. Niente.
Niente avrebbe potuto fermare quell'inarrestabile forza e rabbia che si è espressa, palesata dentro un corteo tutt'altro che scontato.
Un corteo dove si è espressa la complessità di una nuova composizione sociale, meticcia, per la quale la precarietà è bios.
Una precarietà che è bios perché forma di governo, di potere, di sfruttamento che si applica sul lavoro ma anche sulla vita. La precarietà come forma di governo agisce soprattutto attraverso una ristrutturazione di quelle che sono le aspettative di vita, dei desideri nostri e delle persone che incontriamo.
Il meccanismo di sfruttamento individuale e collettivo passa proprio dalla capacità del potere di mettere le mani su questi desideri, su queste possibilità.
Uno sfruttamento che prima di tutto cerca di renderci ciechi, di spersonalizzarci, incapaci pertanto di reagire, di co-costruire un nuovo scenario collettivo.
Ma ieri i nostri desideri hanno rotto questa forma di potere, ed hanno incontrato altri desideri, così si sono resi più forti. Più forti di prima.
Mai come ieri il pensiero di essere nati liberi ha preso forma. Si è dato nel coraggio di chi ha scelto la strada di rottura del controllo sui desideri e sulle aspettative di vita, non per ricomporre in forma identitaria una qualche forma di rappresentanza di chissà quale movimento, ma nella capacità di esprimersi attraverso la possibilità di esserci. Di esserci ma liberi.
E' con questo pensiero e negli occhi limpidi e pieni di speranza che ho visto sul pullman al ritorno di cui dobbiamo nutrirci, perché la nostra città ha bisogno di questo... di noi.
Una riminese globale contro il razzismo
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